Quando è corretto parlare di “stalking”?
Quando è corretto parlare di “stalking”?
Il reato di “stalking” (o di atti persecutori”) è disciplinato dall’articolo 612 bis del codice penale, che dispone come questo delitto sia commesso da chi “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Il Tribunale di Pescara (sentenza n. 1729/2018) ha al riguardo chiarito che tale reato può essere integrato anche da due sole condotte di minaccia o di molestia, e quindi idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma. In particolare il Tribunale ha ritenuto che può integrare l’elemento materiale del delitto di atti persecutori il reiterato invio alla persona offesa di sms e di messaggi di posta elettronica o postati sui social network.
Quanto al “perdurante e grave stato di ansia o di paura” lo stesso Tribunale ha stabilito come lo stesso sia configurabile “in presenza di un destabilizzante turbamento psicologico determinato dalla reiterata condotta molesta o minacciosa o di un grave e perdurante stato di turbamento emotivo, per la cui sussistenza è sufficiente che gli atti abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima”, senza quindi che sia necessario l’accertamento di uno stato patologico.

Il caso
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